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Venezia la peste e la salute del placebo

Oggi la stupenda Venezia celebra la fine della peste che uccise quasi 50mila persone (un quarto della popolazione) tra il 1630 e 1631.

Forse non tutti sanno che si trattò prevalentemente di infezioni intestinali, all’epoca Venezia era una vera e propria discarica a cielo aperto, con cumuli di rifiuti che marcivano per strada o in acqua (le fognature semplicemente non c’erano) che venivano versati direttamente nei canali dalle finestre delle abitazioni.

Venezia, all’epoca città fortemente caratterizzata dagli intensi scambi commerciali “internazionali” reagì alla diffusione della “morte nera” facendo diverse ipotesi riguardo quale fosse la causa della violenta, veloce e diffusa mortalità dei cittadini veneziani.

La principale ipotesi fu che si trattava di qualche cosa che veniva portato e trasmesso dai topi che viaggiavano a bordo delle navi approdate in laguna per questo motivo all’arrivo delle navi e dei loro ospiti indesiderati a quattro zampe, nacque la precauzione di fare sostare per quaranta giorni le navi, compreso il loro equipaggio, al largo della laguna di Venezia. L’intenzione era quella di accertare appunto se ci fossero degli infetti e isolarne gli effetti.

Da qui nacque il termine “quarantena” e la metodologia tuttora usata come precauzione di fronte ad un problema infettivo non facilmente contrastabile.

Come misura preventiva la Serenissima fu molto lungimirante nell’adottare una misura cautelativa di questo tipo senza dubbio per l’epoca, in quegli anni non si conosceva nemmeno l’esistenza dei batteri (l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, colui che costruì il primo microscopio che rese possibile vedere i batteri nacque nel 1632).

La politica messa in atto da Venezia fu innovativa ed intelligente perché solo piuttosto recentemente si è capito che la diffusione della “peste nera” veneziana, il colera, è avvenuta per opera di un batterio (Vibrio Cholerae) pericoloso tra l’altro solo all’uomo e solo nella situazione di scarsa igiene e di insufficiente disponibilità di acqua potabile.

Purtroppo Venezia a quel tempo non disponeva di una rete fognaria così questo batterio si sviluppò e si diffuse estesamente per lo più in acqua e cibo contaminati con feci umane contenenti i batteri stessi.

Da psicologo trovo particolarmente interessante che all’epoca della “peste nera” moltissimi credenti si organizzarono in preghiere collettive, processioni e movimenti, successivamente il doge Nicolò Contarini e il patriarca Giovanni Tiepolo, organizzarono una processione di preghiera di tre giorni che raccolse tutti i cittadini superstiti credenti. I veneziani credenti fecero voto solenne alla Madonna che avrebbero costruito un tempio in suo onore se la città fosse sopravvissuta all’epidemia ed straordinariamente in poche settimane i contagi diminuirono fino a fermarsi completamente pur lasciando un drammatico bilancio di circa 50.000 morti compresi il doge e il patriarca.

Il governo della Serenissima portò a termine il suo voto e fece costruire la maestosa Basilica della Madonna della Salute nella zona della Dogana, ben visibile da San Marco. La festa venne istituita il 21 novembre, data in cui tutt’oggi i fedeli ringraziano e sono grati alla Madonna per aver riportato in “Salute” la loro città.

Poco fa ho scritto che da psicologo e uomo di scienza trovo particolarmente interessante questa vicenda storica perché ci troviamo di fronte ad un storico e drammatico “esperimento” sociale dove l’effetto mortale del batterio dovuto a specifiche circostanze (soprattutto la scarsa igiene esistente) fu probabilmente grandemente condizionato anche dal cosiddetto effetto Placebo indotto dai credenti che si riunirono nelle preghiere.

Da un punto di vista strettamente virologico il comportamento di riunirsi in grandi gruppi (anche per pregare!) è senza dubbio considerato un’azione da evitare per contenere la diffusione di batteri trasmissibili infatti è stato considerato assolutamente efficace e di buon senso adottare la strategia opposta: l’isolamento (“la quarantena”) appunto dei potenziali portatori).

Il riunirsi non fece altro che contribuire ulteriormente ad alimentare l’epidemia, tali eventi collettivi si rivelarono infatti un’ottima occasione per veicolare l’agente patogeno per via respiratoria ma allora come spiegare che in una tempistica così breve la malattia non si diffuse ulteriormente ma addirittura ebbe fine in pochi giorni?

Con le attuali conoscenze scientifiche e considerata la tempistica e la scala sociale caratterizzante il fenomeno della peste nera veneziana possiamo escludere sia l’ipotesi relativa un significativo miglioramento delle condizioni igieniche sia il mero caso.

Nessuno conosce con precisione il motivo per cui la peste a Venezia è cessata così rapidamente ma senza dubbio possiamo ipotizzare che a contrastare molto efficacemente la diffusione del virus ci fu un potente effetto Placebo collettivo (collettivo perché attuato contemporaneamente da molte persone) che attraverso le sue riconosciute conseguenze psicofisiche influenzò positivamente sulla salute dei cittadini veneziani superstiti.

Tra il sacro ed il profano Venezia è sempre prodiga di curiosità ed insegnamenti e mi piace pensare che anche di fronte ad un dramma così traumatico come quello del colera la città lagunare sia riuscita in maniera unica a sopravvivere ad esso diventando un esempio paradigmatico del potente (e benefico!) effetto Placebo realizzato dalle preghiere dei credenti e dalla gratitudine perpetuata anche ai nostri giorni attraverso la celebrazione della Madonna della Salute.

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