Elemosina, costi psicologici sociali e comportamenti persuasivi
Nel periodo natalizio di qualche anno fa il sindaco di Como vieto’ la richiesta di elemosina nel centro storico della città. Questa scelta politica innesco’ una vivace reazione da parte di molte persone che si schierarono polarizzandosi tra forti sostenitori ed altrettanto attivi oppositori.
Questa vicenda ci ricorda quanto possa essere interessante interrogarsi sul significato ed il valore psicologico dell’atto di assecondare o meno la richiesta di donare agli altri qualcosa di nostro.
Accendo la tv e sento dire da una politica rispondere alla protesta di alcuni commercianti che dichiarano che i mendicanti “disturbano” in continuazione i clienti: “che fastidio vi danno una quarantina di persone che chiedono la carità? Dove devono andare questi poveretti? Una persona è sempre libera di rifiutare la loro richiesta”.
A queste frasi alle quali i commercianti replicano chiedendo i quale altro piano della realtà viva l’interlocutrice la mia mente cerca di scandagliare le conoscenze psicologiche sull’argomento che ho imparato.
Una cosa è certa: il fatto di poter rifiutare o meno la richiesta, insistente o meno, da parte di una persona che chiede il tuo aiuto non può lasciare indifferente e dal punto di vista mentale non è una cosa emotivamente neutrale, priva di un “costo” psicologico, ma può essere anzi piuttosto stressante per varie ragioni. La richiesta d’aiuto più o meno esplicita da parte di uno sconosciuto implica necessariamente, che ci piaccia o meno, una presa di posizione dal punto di vista etico e questo ha un suo “costo” emotivo e cognitivo.
Proprio per questo motivo qualsiasi riflessione sull’ elemosina rappresenta un tema intrinsecamente controverso.
Qualsiasi direzione decidiamo di prendere ci sarà un costo emotivo da pagare che potrà essere maggiore o minore asseconda dal comportamento che attueremo ma una volta percepita la richiesta non ci lascerà indifferenti a prescindere da cosa decideremo di fare.
In genere il costo emotivo probabilmente sarà minore se il comportamento che metteremo in atto sarà quello di assecondare la richiesta economica del mendicante (per spirito cattolico cristiano? perché a Natale siamo tutti più buoni? perché ci sentiamo di aver aiutato un nostro simile? Perché ci vergogniamo se non lo facciamo pubblicamente? o all’opposto perché pensiamo sia una cosa intelligente rinforzare la nostra visibilità sociale o personale di persone buone?) ma comunque la richiesta di supporto/aiuto da parte di un’altra persona non rimarrà mani inascoltata dal punto di vista psicologico e quindi innescherà delle reazioni che possono essere anche molto diverse e che dipendono da come noi interpretiamo il comportamento appena manifestato dall’estraneo.
Che l’elemosina sia riconducibile all’insieme di credenze religiose legate alla carità o che sia invece rappresentata come un incentivo all’ inerzia, all’ ozio, alla dipendenza o addirittura ad incentivare il racket di delinquenti che sfruttano donne e bambini per impietosire i passanti, induce sempre una reazione in chi percepisce la richiesta che riguarda sia la decisione di compiere o meno un comportamento che va nella direzione del questuante sia lo scenario ipotetico che viene costruito in merito questa situazione e che giustifica almeno superficialmente la condotta che ho deciso di intraprendere.
“Gli/le do un euro così almeno mangia qualcosa”, “No, non incentivo queste forme di sfruttamento”, etc, sono solo alcuni esempi di pensieri che possono o meno compensare efficacemente quella reazione mentale innescata dalla richiesta ma che lasciano il tempo che trovano nel senso che non forniscono una soluzione significativamente importante al problema di queste persone che si rivolgono a noi per essere aiutate.
Certo non possiamo farci carico di qualsiasi richiesta che la società ci propone ma è proprio questo un punto a mio avviso importante da mettere a fuoco: appurato che non possiamo personalmente far fronte a qualsiasi richiesta di aiuto (dal ragazzo del parcheggio del supermercato alle pubblicità che inducono a farmi sentire in colpa se non verso pochi euro mensili per non far morire bambini africani) qual è il confine che mi permetterà di avere la coscienza “a posto” ed essere eticamente soddisfatto delle mie scelte? Aiutare il ragazzo sulla porta del supermercato? La richiesta fatta in televisione? Entrambe? E le popolazioni terremotate?…
Le risposte a queste domande sono assolutamente soggettive ma hanno forti conseguenze oggettive nella nostra società sia in termini di scelte individuali che politiche/sociali.
Qualsiasi scelta a riguardo è soggettiva, opinabile perché potenzialmente non condivisibile ma non per questo non dovrebbe essere al centro di una discussione pubblica che richiederebbe forse un maggiore coinvolgimento da parte dei cittadini.
Il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche scrisse: «Se tutte le elemosine fossero date solo per pietà tutti i mendicanti sarebbero già morti di fame. La più grande dispensatrice di elemosine è la vigliaccheria».
Il filosofo si riferisce al fatto che la reazione psicologica indotta dalla richiesta di aiuto da parte di un nostro simile è sempre emotivamente intensa e tocca un “nervo” scoperto psicosociale molto delicato.
Molto spesso le pressioni psicologiche e sociali in atto nel momento in cui una persona mi chiede di aiutarla donandole un po di spicci faranno si che sia più “facile/comodo” psicologicamente assecondare questa richiesta (“cosa penseranno gli altri del fatto che non dono nemmeno un euro? Che sono uno spilorcio egoista?”) per questo Nietzsche parla di coraggio necessario per non mettere in atto un comportamento che privo di pressioni sociali non faremmo.
Il professor Robert Cialdini psicologo esperto nelle dinamiche persuasive propone una chiave di lettura molto interessante del fenomeno perché nei termini di comunicazione persuasiva esistono tecniche sia etiche che non (e definire questa dimensione etica nel caso dell’elemosina risulta assai difficile!) per rendere più probabile che l’interlocutore assecondi la richiesta effettuata.
Nel suo celebre libro “le armi della persuasione” ed il suo più recente libro Presuasione (vedi qui una mia recensione) ci sono molte indicazioni interessanti relative i modi specifici per rendere una richiesta comunicativamente più efficace e solo a titolo di esempio cito il principio di:
- “reciprocità” (“Dobbiamo contraccambiare un favore che ci viene offerto/proposto”),
- il “consenso sociale”, (“A parità di altre condizioni tendiamo ad adottare scelte comportamentali condivise da un gruppo numeroso di persone”)
- l’ “impegno e la coerenza” (“Anche se apparentemente poco significativi, una volta effettuata una scelta o un comportamento, abbiamo la tendenza ad effettuare scelte o comportamenti futuri coerenti con quelli effettuati precedentemente”)
- la comunicazione non verbale precedente la richiesta in atto nel momento in cui si esprime il comportamento dell’elemosina.
Quindi vista la complessità del fenomeno e le varie sfaccettature personali, sociali ed istituzionali, la cosa migliore è comportarsi secondo scienza e coscienza e cercare di rispettare anche le altrui scelte.
Comunque certamente visto il costo legato allo stress emotivo (anche se non molto intenso sicuramente frequente) che sembra avere il fenomeno, non farebbe male approfondirlo anche dal punto di vista psicologico magari gestendolo politicamente in modo migliore.