Sentirsi “giù” condiziona i nostri acquisti?
E’ noto da tempo che molte persone trovano un certo piacere nel fare shopping, acquistare cioè un oggetto tanto desiderato godendo anche dell’esperienza stessa che si vive durante l’atto di acquistarlo.
Contrariamente a quanto in genere si crede non è un fenomeno che riguarda unicamente le donne ma anche gli uomini. La discriminante fondamentale sembra essere piuttosto legata alla tipologia di prodotti “bersaglio” preferiti dai due sessi: vestiario e accessori per le donne, beni di alta tecnologia per gli uomini.
Anche nel contesto dell’attuale società italiana caratterizzata dalla crisi economica fare shopping risulta un comportamento diffuso all’interno della popolazione anche se i criteri attraverso i quali si scelgono i prodotti si sono modificati nel tempo (prodotti meno costosi, che presentano servizi accessori migliori, etc.). Una prova indiretta di questo fenomeno la si vede nel successo commerciale degli outlet o dei centri commerciali in genere.
Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare la crisi economica ha probabilmente modificato ma non ridotto il comportamento relativo lo shopping e questo perché questa esperienza che molti trovano particolarmente piacevole nasce molto spesso dall’esigenza di sedare un certo “vuoto” generato dalla nostra ansia, dal nostro stress.
Ogni anno milioni di persone fanno shopping perché in questo modo, consapevolmente o meno, si sentono meno “giù”, meno tristi e/o meno stressati dalla vita che stanno conducendo.
Lo shopping compulsivo, quello cioè che ha più le caratteristiche di una patologia che di una modalità tra le altre di fare esperienze piacevoli, ha perfettamente senso se inteso come strategia utile nel breve termine (e purtroppo solo nel breve termine…) per gestire un nostro stato di stress.
Le persone che compiono lo shopping compulsivo descrivono tutte la stessa sensazione tanto piacevole ed estasiante durante l’acquisto tanto volatile e completamente svanita già poco tempo dopo l’acquisto stesso (per alcuni questo lasso di tempo può durare secondi/minuti).
Una ricerca del 2012 di una psicologa americana, la dott.ssa Jennifer Lerner della Harvard University, dimostra che quando ci sentiamo tristi abbiamo la tendenza a comprare gli articoli che ci interessano anche ad un prezzo più alto del 30% e questo del tutto inconsapevolmente.
La stessa dott.ssa Lerner ha anche verificato che anche i venditori quando sono tristi sono propensi ad abbassare il prezzo della transazione del 33%.
Questi dati sono, a mio avviso, molto interessanti perché ci indicano qualcosa che tocca la vita quotidiana di ciascuno di noi: per fronteggiare gli stress quotidiani adottiamo delle strategie che riflettono le nostre scelte personali. Alcuni di noi fanno shopping come forma compensativa antistress per sentirsi meno “giù” ma dovremmo essere più consapevoli che nel fare questo, oltre ad adottare una strategia antistress poco efficace nel medio e lungo termine, accettiamo anche di pagare fino al 30% in più il prodotto o servizio desiderato anche se razionalmente cerchiamo di spendere meno in senso assoluto.
In sintesi, proprio perché quella che stiamo vivendo è una società caratterizzata da risorse e tempo sempre più limitati e fattori stressanti sempre più pressanti, per ovviare a questo palese paradosso consistente nel voler spendere di meno ma essere disposti a spendere di più per soddisfare le nostre richieste, occorrerebbe cercare di essere meno stressati al fine di agire “a monte” di tutto il processo evitando di cadere in questi circoli viziosi che coinvolgono la nostra mente tanto quanto le nostre tasche.