L’EFFETTO IMBUTO DEL MICROBIOTA

La scienza del microbiota, rivelando la complessità di interazioni esistenti tra il mondo dei microorganismi che ci colonizzano e quello delle cellule umane, rappresenta l’alba di un nuovo paradigma delle scienze biomediche e psicologiche perché permette di considerare in un nuovo modo, più articolato ma più promettente del precedente, la salute e la malattia delle persone.

La letteratura scientifica ha ormai identificato alcuni specifici fattori legati agli stili di vita (nutrizione, qualità fisico-chimica ambientale, benessere psicologico, ecc.) che influenzano significativamente la composizione del microbiota.

Questo scritto presenta il concetto di “effetto imbuto” del microbiota per descrivere la natura convergente e parzialmente indipendente di questi fattori (nutrizione, attività motoria, benessere psicologico, qualità del sonno, supporto sociale, qualità fisico-chimica ambientale, ritmi circadiani) sulla composizione del microbiota intestinale impattando quindi, di conseguenza, sulla salute globale dell’organismo umano.

L’“effetto imbuto” del microbiota ha alcune logiche implicazioni molto rilevanti dal punto di vista clinico che sottolineano la necessità di un approccio integrato psico-neuro-endocrino-immunologico che contrasta quello iper-specialistico attualmente largamente adottato.

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Sul finire del secolo scorso, l’imponente progetto Human Genome Project aveva lo scopo di mappare completamente il DNA umano con l’ambizione di comprendere e potenzialmente risolvere qualsiasi malattia umana.

Questa ottimistica aspettativa deriva dal concetto teorico del cosiddetto “dogma centrale della biologia molecolare” secondo il quale ad un gene (facente parte del genotipo) corrisponde una determinata proteina (fenotipo) e che non vi possa esistere un flusso informazionale dal fenotipo al genotipo ma solo uno monodirezionale che dal gene va alla struttura proteica (Bottaccioli & Bottaccioli, 2017; Gottlieb, 2000).

Paradossalmente il successo del progetto genoma umano nel riuscire a sequenziare completamente il DNA umano pose fine al “dogma centrale della biologia molecolare” perché rese evidente l’inadeguatezza teorica di questo concetto rispetto i dati emersi dall’analisi genetica e la complessità bio-psico-sociale umana.

Emblematici sono, ad esempio, il fatto che un organismo complesso come quello umano possieda un patrimonio genetico di “soli” circa 25 mila geni rispetto, ad esempio, al frumento che ne possiede circa 150 mila e che la percentuale di geni codificanti sia limitata a circa il 2% rispetto tutto il patrimonio genetico umano.

Come spesso accade nella storia della scienza, il parziale fallimento dell’ambizioso progetto Human Genome Project, da una parte condusse ad una sempre maggiore consapevolezza dell’inadeguatezza esplicativa del “dogma centrale della biologia molecolare” rispetto la complessità fenotipica umana, ma dall’altra pose le basi a due grandi rivoluzioni, tuttora in atto, nel panorama scientifico.

La prima è relativa l’epigenetica cioè lo studio dei fattori (ereditari e non) che modificano il fenotipo dell’organismo senza alterare la sequenza dal DNA, in altri termini si tratta dello studio del flusso informativo che dall’ambiente va verso il DNA modificando quindi l’espressione del genotipo.

La seconda rivoluzione è rappresentata dalla scienza del microbiota, l’insieme di trilioni di microrganismi (batteri, funghi, virus, protozoi) che colonizzano il nostro organismo.

Grazie alle tecnologie di analisi genetica sviluppate per il progetto Human Genome Project è stato infatti possibile far progredire significativamente lo studio del microbiota e capire la portata che le interazioni prodotte dai microrganismi che lo compongono hanno nei confronti delle cellule umane.

Questo recente ambito di studi ha iniziato a scoprire la strabiliante complessità ed il notevole impatto che i microrganismi che colonizzano il nostro organismo possiedono nel determinare la salute e la qualità di vita delle persone.

A rafforzare questa visione più ampia, che include l’impatto del microbiota sulla globalità bio-psico-sociale umana, ormai ci sono molte evidenze che dimostrano come l’ecosistema microbico che ci colonizza influenza massicciamente funzioni complesse quali l’assorbimento del cibo, il sistema immunitario, il neurosviluppo modulando sistemi quali l’asse dello stress e anche aspetti cognitivi, emotivi e motivazionali.

L’interazione tra il microbiota e la permeabilità intestinale, avendo un ruolo particolarmente importante nel modulare il sistema immunitario e l’impatto epigenetico dell'ospite umano, è un fattore cruciale nello sviluppo delle malattie infiammatorie croniche, che rappresentano una vera e propria "epidemia" dei paesi industrializzati (Fasano, 2020).

La notevole influenza del microbiota ha permesso di gettare luce sull’eziopatologia di condizioni come la celiachia, l’obesità e la colite ulcerosa, ma anche di disturbi psicologici, tra cui ansia, depressione e diverse psicopatologie, come i disturbi dello spettro autistico e la schizofrenia (Caio et al., 2019; Cheunget al., 2019; Foster & McVey Neufeld; 2013; Garrett et al. 2007; Li & Zhou, 2016; Mangiola et al., 2016; Rodrigues-Amorim et al., 2018; Sharon et al., 2019; Simpson et al., 2021).

E’ importante notare che, a decretare la nascita del nuovo paradigma che vede il microbiota come protagonista della nostra salute, sono proprio le ricerche che hanno dimostrato come il microbiota influenza dimensioni neurocomportamentali e psicologiche come, ad esempio, gli stati ansiosi o depressivi, la socialità o la percezione del rischio (Allen et al., 2017; Ann et al., 2024; Bercik et al., 2011; Bravo et al., 2011; Carloni et al., 2021; Chen et al., 2019; Cheung et al., 2019; Cryan & Dinan, 2012; Cryan & O'Mahony, 2011; De Palma et al., 2015; Farmer, Randall & Aziz; 2014; Koenig et al., 2011; Ottman et al., 2012; Wu et al., 2021) e come alcune caratteristiche fenotipiche di queste dimensioni possono addirittura essere trasferite da un organismo ad un altro attraverso il cosiddetto “trapianto di microbiota” (Chinna Meyyappan et al., 2020; Collins et al., 2013; Cryan & Dinan, 2012; Kelly et al. 2016).

Che la mente potesse influenzare il benessere intestinale era infatti già noto da tempo (anche perché facilmente intuibile dal punto di vista esperienziale) ma lo studio del microbiota ha dimostrato l’esistenza anche della direzione causale opposta in cui i microorganismi intestinali esercitano un effetto sulle dinamiche psicosociali.

Il significativo impatto del microbiota sull’organismo umano comprende dinamiche endocrine ed immunologiche ma anche neurali e psicologiche quindi impatta su tutta la complessità bio-psico-sociale umana questo è uno dei motivi per cui sarebbe più corretto parlare di asse “microbiota-intestino-cervello-mente” piuttosto del riduttivo, quanto largamente usato, termine “asse microbiota-intestino-cervello” in cui mente e cervello sono erroneamente considerati totalmente coincidenti (Agnoletti 2023a).

L’impatto dell’interazione del microbiota sulle cellule umane è notevole considerando il fatto che la massa totale dei soli batteri viene stimata essere da 0,2 kg a 1 kg (70% dei quali si trovano a livello intestinale), il numero dei batteri è stimato essere uguale o superiore a quello delle cellule umane e soprattutto che il contenuto genetico dei soli batteri è circa da 100 a 1000 volte superiore a quello umano (Sender, Fuchs & Milo, 2016a; Sender, Fuchs & Milo, 2016 b).

Visto il rapporto simbiotico tra microbiota e cellule umane, il microbioma, ovvero l'insieme del patrimonio genetico dei microrganismi che costituiscono il microbiota, rappresenta una componente variabile del genoma umano.

Il microbiota, infatti, grazie al suo contributo genetico molto più ampio rispetto quello umano, ha un importante ruolo epigenetico rispetto le cellule umane, quindi, risulta essere fondamentale nel determinare il benessere, la salute e la longevità umana (Chang et al., 2014; Claesson et al., 2012; Cornuti et al., 2013; Dalile et al., 2019; Kumar et al., 2014; López-Otín et al., 2013; Ottaviani, 2011).

Comprendere le dinamiche epigenetiche risulta essere indispensabile per cogliere la complessa interazione tra il microbiota e quella delle cellule umane perché, studiando i fattori che influenzano l’espressione del contenuto genetico permette di concettualizzare tutto l’ecosistema del microbiota come un fattore extra genetico (“extra” rispetto il DNA umano) che estende ulteriormente la capacità adattativa delle cellule umane.

L’addizionale contributo genetico del microbiota consente all'organismo olobiontico umano (rappresentato dalla collaborazione tra cellule umane e microorganismi) di adattarsi con maggiore efficacia alle diverse condizioni ambientali con evidenti vantaggi evoluzionistici. (Agnoletti, 2023b; Gasbarrini, Dionisi & Gasbarrini, 2019; Fasano, 2023).

La natura del contributo genetico del microbiota rappresenta il fattore di maggiore diversità interindividuale, infatti, se il patrimonio genetico interindividuale umano è il medesimo circa al 99,9%, la diversità genetica del microbiota tra due individui può arrivare anche all’80-90% (Gasbarrini, Dionisi & Gasbarrini, 2019).

La diversità genetica del microbiota viene determinata principalmente da fattori ambientali e solo in misura marginale dalla genetica umana dell’ospite (Rothschildet al., 2018) quindi possiamo affermare che la quasi totalità del contributo del microbiota nei confronti delle cellule umane è dovuta a fattori ambientali e non al contenuto genetico umano.

La fitness umana è quindi fortemente dipendente dal ruolo epigenetico del microbiota perché esso espande significativamente la capacità dell’organismo di adattarsi a contesti variabili rappresentati, ad esempio, dagli alimenti che mangiamo, dall’attività motoria che svolgiamo, dalla qualità fisico-chimica degli ambienti che frequentiamo, dallo stress psicosociale che viviamo, ecc., riuscendo comunque a garantire l’omeostasi di importanti sistemi fisiologici quali la pressione arteriosa, il battito cardiaco, il volume ematico, l’idratazione, il pH, la densità ossea, ecc.

Ai fini di questo scritto risulta importante notare che la letteratura attualmente disponibile ha chiaramente dimostrato che fattori quali;

  • l’alimentazione (Putignani & Dallapiccola, 2016; Valitutti, Cucchiara & Fasano, 2019; Zang & Zuo, 2018),
  • l’attività motoria (Allen et al., 2018; Aragón-Vela et al., 2021; Mohr et al., 2020),
  • la qualità del sonno (Neroni et al., 2021; Sen et al., 2021; Smith et al., 2019),
  • i ritmi circadiani (Bermingham et al., 2023; Thaiss et al.,2014; Voigt et al., 2016),
  • la qualità fisico-chimica ambientale (De Filippis et al., 2024; Estevinho et al., 2024; Mousavi et al., 2022),
  • il supporto sociale percepito (Cryan et al., 2019; Kim et al., 2021; Winter et al., 2018),
  • il benessere psicologico (Chang et al., 2024; Ge et al., 2022; Ilchmann-Diounou & Menard, 2020),

influenzano la composizione del microbiota modificando quindi anche il suo contributo adattativo, sia epigenetico che non, nei confronti di tutto l’organismo impattando di conseguenza sulla qualità di vita e la salute umana.

Ai fini di questo scritto risulta particolarmente interessante notare che la letteratura scientifica attualmente disponibile, non evidenzia la dominanza di un fattore rispetto gli altri nell’influenzare il microbiota ma descrive un effetto quantitativo dose dipendente per ciascuno di essi.

Tutti i fattori considerati, almeno in parte, si influenzano vicendevolmente (pensiamo ad esempio quanto l’attività motoria influenzi la qualità del sonno o quanto i ritmi circadiani influenzano l’impatto metabolico dell’alimentazione) tuttavia ciascuno di questi fattori è dotato anche di una certa autonomia rispetto gli altri per il caratteristico meccanismo causale che influenza il microbiota.

Ad esempio, la gestione dello stress psicologico e la qualità ambientale fisico-chimica sono entrambi fattori che influenzano il microbiota ma lo fanno in modo almeno in parte indipendente l’uno dall’altro perché seguono percorsi causali in parte differenti.

La “sensibilità’” del microbiota nei confronti dei molteplici fattori è quindi in parte indipendente rispetto alla natura specifica del fattore che influenza il microbiota stesso.

In altri termini, che sia ad esempio l’alimentazione o il benessere psicologico o l’attività motoria, ci sarà sempre un impatto sulla composizione del microbiota.

Una disbiosi può, ad esempio, avere un’origine inizialmente dovuta ad una carenza nutrizionale, un trauma psicologico o un’eccessiva sedentarietà anche se le dinamiche causali che collegano l’alimentazione, gli stati psicologici e l’attività motoria, al microbiota sono, almeno in parte indipendenti tra loro.

Il fatto che diversi fattori convergono nel modificare il microbiota non significa che l’impatto dei diversi fattori siano gli stessi, della medesima intensità o frequenza, naturalmente il percorso causale prodotto dalla cronica carenza di sonno possiede un impatto diverso sul microbiota rispetto, ad esempio, ad un’unica modesta esposizione inquinante dovuta a pesticidi.

Considerando appunto la diversità e la parziale indipendenza dei diversi fattori che influenzano il microbiota, è altrettanto interessante evidenziare la comune convergenza nel modificare la composizione di questo complesso ecosistema che colonizza il nostro organismo.

Per i motivi suddetti, proponiamo il concetto di “effetto imbuto del microbiota” per descrivere la caratteristica convergenza dei sette principali fattori identificati dalla letteratura scientifica (nutrizionali, motori, psicologici, del sonno, sociali, ambientali, circadiani) che, in maniera parzialmente indipendente, contribuiscono a modificare la composizione del microbiota intestinale (vedi Figura 1).

Figura 1 L’“effetto imbuto del microbiota”

La comune convergenza dei sette fattori legati allo stile di vita nei confronti del microbiota ha importanti implicazioni sul benessere e la salute delle persone perché evidenzia la necessità di adottare un approccio sistemico e olistico per promuovere il benessere e trattare situazioni sub-ottimali e patologiche.

Dal punto di vista clinico, infatti, l’“effetto imbuto del microbiota” afferma che, vista l’alta integrazione psico-neuro-endocrino-immunologica dei fattori considerati e visto il notevole impatto epigenetico del microbiota rispetto il funzionamento delle cellule umane, l’unico modo di garantire un intervento clinico efficace è adottare una visione sistemica che preveda la valutazione globale di tutti i fattori.

Continuare ad utilizzare una visione specialistica che analizza e tratta solo uno dei fattori considerati (o più di uno ma non tutti) equivale a adottare un approccio riduzionistico che, non considerando la natura convergente ed in parte indipendente descritta dall’ “effetto imbuto del microbiota”, risulta poco efficace clinicamente soprattutto nei confronti delle problematiche croniche.

Il concetto dell’“effetto imbuto del microbiota” prevede un cambiamento piuttosto radicale dei protocolli clinici poiché implica almeno una prima valutazione generale (ma non generica) dei singoli fattori considerati e del benessere intestinale del paziente (che quindi include anche lo stato generale del microbiota).

Per qualsiasi professionista che ha come finalità il benessere e la salute umana, l’“effetto imbuto del microbiota” rappresenta un nuovo paradigma che dimostra la necessità clinica di un approccio realmente integrato, olistico e scientifico imprescindibile per il trattamento di problematiche complesse che coinvolgono anche il microbiota.

Fonte dell'articolo in italiano:

https://sipnei.it/

Fonte dell'articolo in inglese:

https://journals.francoangeli.it/index.php/pneioa


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